Le donne del Corano #4 MARYAM

“Magari fossi morta!” esclama Maryam nel momento del travaglio. Il dolore fisico e la paura si impadroniscono di lei per qualche momento. Sola, lontana dalla sua gente, può aggrapparsi solo alla sua incrollabile fede. Definita la prescelta e la più pura, esempio di fede e abbandono fiducioso al Divino (Corano 3:43) al momento del parto nella descrizione coranica appare umana e vicina a noi. “Magari fossi morta, magari mi avessero già scordato!” La morte come cessazione di sofferenza, l’oblio come antidoto al giudizio spietato della gente. Nel cammino della vita, anche quella dei credenti, questi momenti giungono. La fede e la speranza possono venir meno in qualsiasi vita. E in questo preciso momento, che il Divino giunge in soccorso.

Tomba di Maria, Gerusalemme

“Non essere triste” sono le dolci parole che arrivano a Maryam, come una carezza di una madre amorevole, che accoglie senza giudicare, che si fa scudo della sofferenza. A questo punto sgorga una sorgente d’acqua ai piedi di Maryam per recarle sollievo e poi l’invito a scuotere la palma. Un piccolo gesto che ridona a Maryam fiducia nella sua forza: ” è solo un momento di fragilità, tu sei abbastanza forte per scuotere la palma” sembra suggerire la voce amorevole del Divino. Maryam è la delicatezza e la forza, è esempio di fede e speranza, di fermezza anche di fronte al giudizio spietato che l’attenderà quando farà ritorno dalla sua gente con un bambino tra le braccia.

Da dodici anni porto il suo nome, che mi è arrivato come un segno quando ho iniziato il mio cammino nell’islam. Nel mio ultimo libro “Il velo dentro” ho riflettuto ancora una volta su di lei: “Maryam è il nome della Vergine che conforta uomini e donne attraversando lingue, culture e pratiche religiose. Maryam, madre di Gesù, è la donna più pura e più virtuosa. Nei dipinti cristiani Maryam è rappresentata quasi sempre con un velo adagiato sulla testa, è felice senza sorridere e triste senza versare lacrime, risoluta e forte. Maryam è sola. Aver ricevuto il suo nome ha caricato la mia esperienza non solo religiosa ma anche umana di una responsabilità quotidiana; indossare il velo come lei mi ha condotto a guardarla come una donna in carne e ossa, pur non dimenticandone la santità. I racconti che la riguardano disseminati fra Vangelo e Corano costruiscono un modello di virtù che in quanto donna portatrice del suo nome ho il dovere di coltivare, nella certezza dei miei limiti.”

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